Ho messo in vendita una prima bozza del libro, nella speranza di avere lettori in anteprima che mi aiutino con i loro suggerimenti per la stesura definitiva
http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/narrativa/292868/il-friuli-nella-storia-deuropa/
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Storia del Friuli.
giovedì 17 novembre 2016
sabato 1 ottobre 2016
Il Secolo XI
Il secolo XI. Le origini del Patriarcato di Aquileia.
Mille e non più
mille. Con questa affermazione negli ultimi scorci del X secolo, si andava
pronosticando la fine del mondo per la notte di San Silvestro del 999 d.C.
Si
legge che qualche uomo di chiesa, abbia
approfittato della convinzione della imminente catastrofe, per guadagnarsi
qualche lascito a proprio favore, in cambio di assicurazioni sul Paradiso, e
sconti di pena per il Purgatorio. Non a caso
la credenza aveva un’origine religiosa, la si metteva infatti in relazione con alcuni passi dell’Apocalisse
di San Giovanni, ove l’autore dice
d’aver visto un angelo discendere dal cielo ed incatenare Satana per mille
anni. Trascorso il periodo, il demonio si sarebbe liberato e assunte le
vesti dell’Anticristo avrebbe provocato la fine del mondo.
Che
qualcuno vi abbia creduto non v’è dubbio, se anche nel Duemila c’è stato chi ha dato seguito alla profezia dei Maya secondo
la quale il mondo sarebbe finito al
chiudersi del 2012. Qualcuno se ne sarà approfittato, come sempre succede.
Anche oggi c’è chi campa e si arricchisce sulla buonafede altrui.
La
leggenda del mille e non più
mille parla però di folle disperate ad
attendere lo scoccare dell’ultima mezzanotte. Forse non andò proprio così. E forse è solo
una leggenda inventata molto tempo dopo. Ma le leggende hanno sempre un fondo
di verità, nascono per spiegare
qualcosa. In questo caso, chi l’ha inventata credo volesse spiegarsi e spiegare il cambiamento radicale a livello culturale,
sociale ed economico intervenuto in Europa attorno all’anno mille.
La leggenda proponeva
una spiegazione del fenomeno nel fatto
che prima la gente non aveva motivo di
impegnarsi in qualcosa, essendo imminente la fine di tutto. Dopo invece, messa
da parte tanta inutile paura, preso atto che il sole continuava a splendere, la
gente si è scatenata dandosi a vivere con un entusiasmo nuovo e con una grande spirito
d’intraprendenza. Dalla paura di morire alla gioia di vivere!
La spiegazione che ci
forniscono gli storici per quello che fu un vero e profondo cambio di mentalità è invece un’altra. La coincidenza
con l’anno mille è casuale. Le motivazioni che hanno portato a una consistente
e decisa ripresa economica e rinascita sociale e culturale, vanno ricercate nel
fatto che dopo secoli trascorsi in difesa, l’Occidente europeo aveva
ripreso il suo ruolo politico-culturale.
Erano finite le invasioni barbariche che avevano caratterizzato la vita
dell’Europa nei tempi precedenti. Dopo
secoli, per la prima volta, l’Europa viveva dei momenti di relativa pace.
Ebbe
così inizio un processo di incremento costante
della popolazione. Di conseguenza ci fu uno sviluppo dell’economia
agricola per soddisfare la maggiore richiesta di cibo. Iniziò quindi una vera aggressione al bosco per
ridurre a cultura nuovi terreni. E dato che, come sempre, la necessità aguzza
l’ingegno, si individuarono delle importanti innovazioni tecnologiche,
finalizzate ad aumentare la produzione riducendo l’impegno di lavoro. A parità
di sudore, maggiore prodotto!
Si
introdusse l’uso del ferro di migliore qualità negli strumenti da lavoro. Sia
nelle asce e nelle seghe dentate dei boscaioli, che negli aratri da
dissodamento dei contadini.
All’aratro
ad una lama che permetteva solo di incidere il terreno, si aggiunse il
versorio, la lama metallica ricurva che rovescia le zolle e consente di smuovere
il terreno più in profondità. La capacitrà di sforzo degli animali da lavoro
venne migliorata con accorgimenti che ora ci sembrano banali, ma che consentirono
di raddoppiare la forza lavoro.
Fino
ad allora gli animali da traino venivano legati al carro, o all’aratro, con
cinghie di cuoio che giravano intorno al collo. La compressione dei legamenti impediva
di sfruttare tutta la forza nei momenti di maggiore sforzo. Si inventò allora
per i buoi un giogo frontale in legno
che poggiava sulle spalle. Invece per i
cavalli si adottò un collare di legno che, essendo
rigido, distribuiva meglio il peso.
L’aumento
della produzione agricola fu agevolato infine dall’introduzione della rotazione
triennale. I campi venivano divisi in tre parti una parte veniva seminata a
primavera, generalmente con avena o legumi, una parte in autunno, solitamente a
grano, la terza restava a maggese, cioè a riposo. Si prese a seminare quindi
per due terzi del campo non più solo per metà come prima. Si coltivarono
inoltre contemporaneamente più tipi di prodotti e in particolare si introdusse
la coltivazione delle leguminose che era molto adatta a restituire fertilità al
suolo.
Grazie
a tutte queste innovazioni la disponibilità di cibo crebbe notevolmente non
solo in quantità ma anche in qualità. Anche se la carne restava un cibo
ricercato riservato quindi alle tavole dei nobili, l'abbinamento di cereali e
legumi dava anche ai contadini la quantità di proteine necessarie per ottenere una
sana e robusta costituzione.
Fino
all'anno 1000 la maggior parte dei contadini riusciva a produrre giusto il necessario per mantenere le proprie
famiglie e dare la parte spettante ai proprietari terrieri per cui lavoravano.
L'aumento della produzione dovuto ai miglioramenti tecnologici e la messa a
coltura di nuovi terreni portò in molte zone ad una situazione nuova.
Non
si produceva solo il necessario. Parte dei raccolti avanzava e poteva essere
venduta. Non dovendo produrre solo per
i propri consumi, i contadini potevano specializzare le coltivazioni
dedicandosi solo a quelle più adatte al
clima e al terreno, oppure a quelle che avevano una tradizione antica e che
quindi conoscevano e sapevano lavorare meglio. Il grano, per esempio, veniva
coltivato principalmente in Francia e nell'Italia meridionale. Nelle regioni
mediterranee riprese vigore la produzione del vino.
Non
era più necessario produrre tutto quello
di cui si aveva bisogno. Lo si poteva acquistare. Rinasceva il commercio.
Nacquero i mercati e le fiere. Appuntamenti
periodici a cui partecipavano genti provenienti da altre regioni anche lontane.
Erano luoghi e momenti di scambio commerciale in cui si poteva trovare di tutto.
Rappresentavano però anche un'occasione d'incontro tra uomini provenienti da
luoghi anche molto distanti che potevano scambiarsi conoscenze e notizie.
L’aumento
della produzione favorì l’incremento della popolazione.
Nei primi otto secoli dopo Cristo la
popolazione europea era passata da 50 milioni a circa 28, dopo il mille si
verifica una ripresa che porterà il numero di abitanti del continente a
superare i 70 milioni nel 1300.
Ma
la crescita demografica determinò a sua
volta un ulteriore sviluppo della produzione. Si attivò un circolo virtuoso che lentamente cambiò il
sistema economico, finendo per
determinare, come è normale, un cambiamento sociale e culturale. Ecco spiegato,
al di fuori della leggenda, il cambio di mentalità dell’anno mille!
Prima
si viveva legati alla terra, i servi perché schiavi, ma anche i possidenti,
chiusi nei loro castelli. Dopo il mille
si riprese a viaggiare. Non era facile, per le precarie condizioni delle strade dissestate dopo secoli di incuria.
Ma se il collare aveva potenziato le prestazioni del cavallo da tiro,
l’invenzione del ferratura degli zoccoli, migliorò enormemente le prestazioni
del cavallo da sella.
Nell’Alto
Medioevo l’uso della moneta era quasi scomparso, sostituito dal baratto, ma la
ripresa dei commerci ridiede importanza allo scambio del denaro. Alle monete
d’argento già comparse nel secolo X si unirono quelle d’oro. Tutte le città più
importanti battevano moneta, ma anche i grandi feudatari. Come vedremo, anche in
Friuli c’era la zecca del Patriarca d’Aquileia.
C’erano
monete più apprezzate, come il fiorino di Firenze o il ducato di Venezia, che
venivano accettate in tutta Europa, come avviene ora per l’euro. Ma se in
tanti, come s’è detto, potevano battere moneta, c’erano in circolazione tante
valute diverse. Nacque di conseguenza la figura del cambiavalute.
Girare
con troppi soldi, per strade infestate dai predoni, era molto rischioso. Si
affermò quindi l’idea della lettera di cambio: si versavano i soldi nella
propria banca per riprenderli dal
corrispondente della stessa banca, in
un’altra città o all’estero. Si affermò anche la figura dell’assicuratore per
garantire la sicurezza dei trasporti.
Un’economia
dinamica ha bisogno di scambi e di
relazioni. Le città diventarono il luogo privilegiato di queste intermediazioni.
Nei secoli precedenti si erano spopolate ma ora presero poco a poco a
rifiorire. Dalle campagne vennero richiamati gli artigiani necessari sia per la
produzione che per i servizi. Nuove esigenze crearono nuove attività. Si andò sviluppando quindi una nuova classe sociale
che non era presente nell’economia chiusa dell’Alto Medioevo: la borghesia.
I
benefici della mutata situazione sociale si risentirono anche nelle campagne.
Seppure lentamente, si andò superando l’idea che fosse necessario avere degli
schiavi, come i servi della gleba, per
lavorare la terra. I proprietari capirono che si poteva trarre maggiori benefici, dando i terreni in
affitto. Il rapporto che prima si basava sulle corvèes, cioè sull’obbligo per i
servi di prestare servizi al padrone, finì per basarsi sui canoni d’affitto.
I
beneficiari a loro volta, dovendo pagare la locazione, furono costretti a farsi
più intraprendenti portando a coltura nuovi terreni. Si attivò quindi un
circolo virtuoso in grado di produrre maggiori ricchezze, ma destinato anche a
modificare la struttura sociale delle campagne. Il ceto dei liberi affittuari o mezzadri, si andò
sostituendo, più o meno rapidamente a seconda dei paesi, a quello dei servi
della gleba.
Gli
scambi commerciali imposero la riattivazione delle vie di comunicazione. Nelle
posizioni più strategiche si sviluppano a ritmo più intenso aggregazioni
urbane, o ne nacquero di nuove.
Così,
ad esempio, per parlare anche della Carnia nel periodo, alla confluenza tra il
But e il Tagliamento, in relazione con il rinnovato interesse che rivestiva la
viabilità per passo di Monte Croce Carnico, ai piedi del castello esistente, si
andò formando un borgo. Piccolo ancora, ma con le caratteristiche che si sono
ricordate per le città. E’ infatti un borgo di mercanti che qui fanno base per
i loro traffici tra Venezia e il Centro Europa. Inizia quindi a prendere forma
quella che diventerà il capoluogo della Carnia.
Anche
la chiesa, istituzione fondamentale nella vita del Medioevo, dopo il mille venne
a cambiare il modo di porsi e di
atteggiarsi. Era stata la chiesa dei disperati che combattevano un’aspra lotta
per la sopravvivenza. A loro aveva dato consolazione con la parabola del ricco
epulone. Nel culto dei santi e delle loro reliquie, aveva nutrito le speranze anche quando incombevano le
carestie o scoppiava la peste. Paradossalmente,
con l’aumento della povertà s’erano moltiplicate anche le possibilità di
peccare e di finire all’inferno. Questo aveva portato i fedeli ad essere praticanti
ed osservanti, ad aggiungere i digiuni imposti per liberarsi dal peccato, a quelli determinati
dalla miseria.
Interpretando
le esigenze della borghesia nascente, la chiesa smise di ritenere che la ricchezza fosse lo sterco del diavolo. Un po’
perché anche gli uomini di chiesa di stavano arricchendo, per le donazioni
avute dai ricchi mercanti. Ma soprattutto perché non si poteva non riconoscere
che l’accumulo della ricchezza aveva una positiva ricaduta anche sullo sviluppo complessivo della vita
sociale e sul benessere di tutti i cittadini.
Ed
è proprio attorno alla chiesa che, in questo periodo, si sviluppa in Friuli una
nuova organizzazione politica e sociale, in analogia a quanto stava avvenendo in
Germania, in difformità, come vedremo, rispetto alla storia dell’ Italia
Il patriarcato di Aquileia da istituzione
religiosa prese lentamente a trasformarsi nella istituzione politica che
caratterizzerà la storia del Friuli, nei primi secoli del nuovo millennio: uno
stato feudale a capo del quale vi è un Principe-Vescovo.
Non
è un caso che la rinascita dopo il mille trova in Friuli la testimonianza più evidente,
nella costruzione della attuale Basilica di Aquileia, inaugurata il 13 luglio
1031 alla presenza di due cardinali e dodici vescovi. Nella sua grandiosità, si
misura il sentimento dell’uomo medievale intriso di religiosità D’un uomo che
nella devozione e nella ricerca del miracolo, trovava la forza per nutrire,
malgrado tutto, la speranza nel futuro
Era
stata voluta dal patriarca Volfango di Treffen (Carinzia) detto Poppo o
Poppone. A lui si deve probabilmente anche la costruzione dell’imponente
campanile adiacente, simbolo manifesto, d’una grande fede ma anche
dell’importanza che stava riprendendo, o voleva riprendere, Aquileia, dopo
secoli di abbandono.
Due
anni prima l’imperatore aveva concesso al Patriarca il diritto di battere
moneta, portando a termine, sul piano pratico se non ancora su quello
formale, il percorso di sviluppo
autonomo dello Stato patriarchino.
Un
percorso che era iniziato il secolo precedente nella grande crisi conseguente
alle feroci invasioni degli Ungari. A conferma che, anche in Friuli è stata la
situazione drammatica del secolo precedente a porre le radici della rinascita.
Era stato nel 921-24 che il Patriarca di Aquileia Federico
s’era distinto per aver sconfitto gli Ungari. Aveva dovuto sostituirsi al marchese del Friuli, Berengario, impegnato
fuori sede perché s’era messo in testa ed era riuscito, come si vedrà, a farsi
riconoscere re d’Italia.
Conclusasi la stagione delle invasioni anche
in Friuli c’era da pensare alla ricostruzione. Per
avere l’idea della situazione basti pensare che gli Ungari si erano presentati
almeno dodici volte con una crudeltà che nulla aveva da invidiare a quella di
Attila, tant’è che si dice siano stati anche cannibali. Forse si tratta d’una
esagerazione ma Salomone di Costanza che visitò l’Italia dopo l’invasione del
904 scrive che: “ci stanno davanti le città deserte senza cittadini e i campi
desolati senza coltivatori. Le pianure biancheggiano delle secche ossa degli
uccisi, il numero dei morti supera quello dei superstiti”.
A conferma del fatto che un territorio come il Friuli così devastato
aveva perso ogni importanza, nel 955, dopo la vittoria sugli Ungari da parte di
Enrico duca di Baviera e Carinzia, il territorio venne prima incorporato alla
marca veronese e quindi annesso come una appendice al ducato di Carinzia.
Ma è proprio il venir meno del
rilievo politico del territorio che consente al Patriarca di imporsi con il suo
prestigio, occupando il vuoto politico che s’è formato.
Il territorio friulano stava
riprendendo importanza come luogo di transito per il commercio in fase di forte ripresa. Questo fatto
implicava la necessità che ci fosse un controllo forte sul territorio. In
questa prospettiva, agli occhi degli imperatori tedeschi, l’organizzazione
ecclesiastica aquileiese appariva come l’unica struttura esistente nella
regione, utilizzabile anche a scopi politici e civili.
Toccò così a Poppone, come accadde per altri vescovadi o badie
nell’Italia settentrionale di avere l’
incarico per occuparsi anche della
difesa materiale dei paesi per i quali aveva la competenza della cura d’anime. Prima
della basilica quindi, curò quindi la
riedificazione di molti villaggi e borgate i cui signori erano venuti a
mancare. Con la sua azione, impose una accelerazione nel percorso di formazione del Patriarcato e quindi di quella che sarà la
“patria del Friuli”.
Percorso a cui aveva dato un primo
impulso l’imperatore Ottone I quando, nel 967, con una solenne investitura, aveva
concesso in feudo al Patriarca Rodoaldo,
tutte le terre friulane interessate dalle distruzioni degli ungari.
Territorio che nel frattempo era stata
ripopolato favorendo successive immigrazioni di slavi, come è dimostrato dal
toponimo di molti paesi come Gradisca,
Gradiscutta, Lestizza, Belgrado.
Con Ottone II e Ottone III continuarono le
assegnazioni in amministrazione diretta al patriarca, e già attorno all’anno
1000, i suoi possedimenti superavano quelli del conte di Gorizia, vassallo
diretto dell’Imperatore.
Fu così che nel 1001 Ottone III concederà al patriarca Giovanni la
giurisdizione delle ville riedificate. Gli imperatori e re favorirono poi questo compito della chiesa,
concedendole direttamente territori e luoghi importanti per la loro posizione. Nei venticinque anni di patriarcato di Poppo
si avrà la vera svolta, e si potrà parlare della nascita, di fatto se non
ancora di diritto, del Patriarcato di Aquileia, con il riconoscimento al
Patriarca del potere temporale sui propri domini.
Con il sistema dei benefici, il
Patriarca costruì poi su tutto il Friuli una fitta rete di rapporti con persone
che, a vario livello e titolo, dipendevano da lui. Ripristinò il sistema di
difesa con una batteria di castelli in
ottica tra loro, come efficace sistema di comunicazione. Artegna con Fusea, San
Floriano con San Pietro, Sutrio, Paluzza. Così anche in Carnia vennero importati e introdotti
nuovi castellani, chiamati gismani, con l’impegno a riattivare questa serie di
castelli nella valle del But.
Poppo aveva chiara l’idea che il
futuro sviluppo del Patriarcato era strettamente legato all’essere il ponte tra
l’Adriatico e il Centro Europa. In questa prospettiva, per ben due volte tentò di annettersi Grado per migliorare lo
sbocco al mare. Nel 1024 approfittando di una sollevazione avvenuta a Venezia
invase la sede del patriarcato di Grado depredò le chiese e rapì le reliquie
che vi si conservavano. Ma poi fu costretto dal doge Orseolo, a restituire ogni
cosa. Rinnovò il tentativo poco prima di morire, ripetendo incendi e saccheggi,
ma senza raggiungere lo scopo.
L’obiettivo di rafforzare lo sbocco
al mare, si collegava a quello di garantire la sicurezza dei transiti verso i
passi. In questa ottica rafforzò il ruolo di Venzone e Gemona, a conferma forse del fatto che non aveva ancora ripreso del
tutto importanza, o non era stato riattivato bene il passo per Monte Croce, e
si preferiva quello per Tarvisio.
E’ probabile infatti che negli
ultimi secoli del primo millennio la storia del Friuli si sia fosse spostata
sull’asse Gemona, Cividale, Aquilieia.
In quelli che vengono chiamati i “secoli bui” la Carnia sembra quasi uscita
dalla storia. E’ diventata una isola ai margini, per lo spostamento delle vie
di comunicazione. In questa marginalità si forma la sua identità. Il territorio
è occupato da insediamenti sparsi di proprietari gallo-romani, ai quali si
erano uniti quelli degli arimanni longobardi, integrati infine dai gismani
patriarcali. Si può quindi immaginare la Carnia del tempo come una rete di
piccoli castelli con i relativi servi della gleba, ad occupare i borghi
sottostanti.
Lo spostamento degli interessi sulla
via del Fella, invece che su Monte Croce, può trovare conferma anche nella
fondazione dell’Abazia di Moggio, all’imbocco di quella valle.
Nel 1118 sarà il patriarca di
Aquilieia Voldorico I, abate di San Gallo in Svizzera, a consacrare la chiesa
dell’Abbazia in onore delle SS Vergine e di San Gallo. Ne fece un centro di
giurisdizione ecclesiastica, probabilmente con l’idea di farne un centro di riferimento anche per il
controllo amministrativo dell’Alto Friuli.
Ma si collega proprio alla storia
dell’Abbazia sul Fella la ripresa di
interesse verso la Carnia e verso Monte Croce Carnico, alla quale si legherà la
storia di Tolmezzo dei secoli successivi.
Il
nome di Tolmezzo infatti appare per la prima volta agli onori delle
cronache se non della storia, quando nel 1158 certi Varnero e Berta donavano
all’abate di Moggio i beni allodiali da essi posseduti “apud Tumech”, presso
Tolmezzo. C’erano evidentemente già delle case, un borgo se alcuni anni dopo
nel 1199 Papa Innocenzo III concesse ai monaci di Moggio di poter edificare su un
terreno di loro proprietà, forse quello avuto in dono, la cappella dedicata a
San Martino che poi diventerà il duomo.
Rispetto alla situazione orografica
che avevano trovato i Romani e che aveva sconsigliato loro l’utilizzo a scopi
edificatori del territorio, la piana ai piedi del monte Strabut si era andata
allargando e consolidando. Il fiume era stato spinto contro la piana di Cavazzo
e c’erano le condizioni per utilizzare un territorio interessante per la
posizione strategica alla confluenza delle valli. Individuandolo come naturale
baricentro di tutta la Carnia. Il Patriarca
vi insediò il suo rappresentante-gastaldo, che vien ricordato per la
prima volta in un documento del 1212.
Per dimora gli viene costruito un
castello (oppure ricostruisce ed ingrandisce quello già esistente),
utilizzato anche dal Patriarca nelle sue
visite in Carnia.
Ma col racconto siamo
scivolati ben oltre il secolo XI.
Impero e Papato nel secolo XI.
Tornando alle vicende dell’Europa
all’inizio del nuovo millennio, l’idea di rinascita che, come s’è visto, pervase
il continente, si concretizzò sotto il profilo politico in un progetto utopistico e velleitario di
rinascita dell’impero come era stato impostato da Carlo Magno.
Già alla fine del secolo precedente,
nei
territori tedeschi soggetti alle scorrerie degli Ungari, i grandi feudatari avevano
compreso a loro spese che era meglio
fare fronte comune contro l'avversario, invece di combattersi l'un l'altro. Per
questo già nel 919 Enrico I duca di Sassonia era stato eletto unico re dei
Franchi orientali ovvero dei Germani.
Enrico
aveva dovuto vedersela oltre che con gli
Ungari anche con quei feudatari che non riconoscevano la sua autorità. Comunque il regno che nel 936 lasciò in
eredità al figlio Ottone I era
abbastanza saldo. Ottone di suo riuscì a
consolidarlo e ampliarlo ulteriormente e nel 951, arrivò a farsi incoronare
anche re d'Italia, corona che poi passò a Berengario d’Ivrea puntando a
ripristinare quella di imperatore.
L'episodio
che l’ha consegnato ala storia è stato
quello della battaglia di Lechfeld, nel
955, quando, alla testa della cavalleria
germanica, Ottone distrusse l'esercito degli Ungari mettendo definitivamente
fine alle loro incursioni.
Infatti dopo questa pesante sconfitta gli Ungari si ritirarono in Pannonia, l’attuale Ungheria,
passarono a una vita sedentaria e accettarono la presenza di missionari
cristiani. A conferma di questa trasformazione, nell’anno 1000, Stefano I, che
verrà proclamato santo, sarà incoronato dal Papa re d'Ungheria.
A
sua volta, forte del prestigio acquisito come difensore della cristianità, nel
962 Ottone è stato incoronato imperatore dal papa Giovanni XII.
In
realtà il suo desiderio di cingersi la corona imperiale si era incrociato con
il desiderio del papa di trovare un
appoggio esterno per riuscire ad imporsi come principe di Roma ampliando i suoi
domini al Lazio, titolo che aveva ottenuto prima di Papa.
E’
doverosa a questo punto una parentesi per capire cosa si dovesse intendere per
papato alla fine del primo millennio. La scena romana era dominata dalla
nobildonna Marozia che Liutprando da Cremona descrive “bella come una dea
focosa come una cagna”. A 15 anni era
già amante, concubina ufficiale di papa Sergio III, suo cugino, molto più
anziano di lei. Da lui ha avuto un figlio Giovanni, che sarà poi riconosciuto
dal successivo marito Alberico di Spoleto. A soli 21 anni l’imporrà come papa Giovanni XI diventando di fatto lei papessa. Entrata in conflitto con lei, il secondogenito
Alberico, la farà morire in prigione, prendendo il suo posto come principe di
Roma. In tale veste nominerà una serie di papi imbelli con l’idea che il papa
dovesse avere solo funzioni religiose. Cambiando idea da vecchio riuscì a
imporre suo figlio come principe di Roma e, a soli diciotto anni, anche papa,
appunto Giovanni XII.
Anche
se con una corona imposta da un papa diciottenne, l'impero comunque era rinato.
La sua estensione tuttavia era molto diversa da quella dei tempi di
Carlo Magno. Formalmente quella
corna dava ad Ottone la sovranità sull’intera Europa in realtà la sua autorità
si estendeva solo ai territori della Germania e dell'Italia. Per questo, più
tardi, la nuova realtà sarà detta Sacro Romano Impero della Nazione Germanica,
un’ istituzione che durerà fino al 1805.
Da
un lato l’Italia diventava un’appendice della Germania, dall’altro per merito
di Roma e della sua storia, rimaneva il cuore del nuovo Impero. Il Friuli
veniva a trovarsi in una situazione privilegiata come ponte di collegamento tra le due realtà
territoriali, su cui si sviluppava l’Impero. Un privilegio che finirà per
costare più che portare vantaggi.
I
successori di Ottone si trovarono subito ad affrontare due problemi. Da un lato dovettero preoccuparsi di consolidare il
potere interno, garantendosi la fedeltà dei feudatari tedeschi. Dall’altro, si prefissero l’obiettivo di allargare l’Impero almeno a
tutta l’Italia. Sia alla parte ancora occupata dai Bizantini, sia a quella che era stata occupata dagli Arabi.
A
vivacizzare ulteriormente la politica
del momento, se ce ne fosse stato bisogno, concorreva il problematico rapporto
tra Papato e Impero, in quella che passerà alla storia come la “lotta per le
investiture”.
La materia del contendere non era da poco:
si discuteva, (più con le armi che con
le parole), se fosse superiore il potere spirituale o
quello temporale. In altri
termini, più semplicemente si ragionava
per capire se il potere politico dovesse dipendere dalla chiesa, o al
contrario, fosse la chiesa a dover dipendere dal potere politico. Come si
capisce facilmente, era in discussione
il principio fondamentale su chi dovesse controllare l’intero sistema feudale:
il Papato o l’Impero.
Altro
grattacapo non meno complesso per l’Imperatore era quello di riuscire a consolidare il proprio potere centrale,
contro le tendenze autonomistiche dei singoli feudatari. Fra una discussione e
l’altra emerse l’idea geniale di impedire l’ereditarietà dei feudi. Se alla
morte del feudatario il feudo tornava all’imperatore che poteva decidere a chi
affidarlo di nuovo, il potere dell’imperatore non sarebbe mai stato messo in
discussione.
Ma
come impedire ai feudatari di avere figli ai quali trasmettere il feudo in
eredità? Nulla di più facile se i feudatari fossero stati vescovi o abati che
per disposizione della chiesa, non potevano avere figli, (quantomeno quelli
legittimi!).
Così l’imperatore, per mantenere l’unità
dell’impero, decise di affidare i feudi a vescovi e arcivescovi, o patriarchi
come nel caso del Friuli che diventavano vescovi-conte,.
Era
una pratica già usata da Carlo Magno, ma Ottone la consolidò e la diffuse facendo dei vescovi-conti i
pilastri della propria autorità.
In
questo modo Ottone, assicurava ai territori anche una migliore amministrazione
dato che i vescovi erano generalmente più istruiti e preparati dei nobili. Allo
stesso tempo si garantiva un ceto di feudatari fedeli perché dovevano la loro
autorità esclusivamente alla sua benevolenza.
E
proprio in questa prospettiva che si viene rafforzando sempre più il anche il
ruolo del Patriarca dei Friuli. I documenti del tempo ci danno i Patriarchi
(Rodoaldo (963-983) e Giovanni di Ravenna (984-1019), sempre al seguito degli
imperatori nelle loro discese a Roma.
E’
evidente però che con l’investitura dei
vescovi-conte Ottone I si metteva contro il Papa: a scegliere chi
infeudare era lui, al papa non restava che attribuire al prescelto
l’ordinazione sacerdotale e vescovile. Nella mente di Ottone poi l’idea si
collegava e discendeva da quella di fondo che prevedeva anche la sottomissione del Papa
all'Imperatore.
Il
titolo di imperatore era rimasto null’altro che un titolo, disputato tra
piccoli feudatari. Peraltro vacante dopo la morte di Berengario del Friuli
(924). Facendosi incoronare da Giovanni XII, Ottone intendeva riproporsi sulle
orme di Carlo Magno.
Perché
non ci fossero dubbi sulle sue intenzioni, subito dopo l'incoronazione imperiale, aveva
emanato un decreto( il cosidetto privilegio di Ottone) in cui stabiliva che un
papa non poteva essere eletto senza l’approvazione dell’imperatore. Questo gli consentiva di mettere sul trono papale persone di sua
fiducia e in questo di piegare la Chiesa
ai suoi voleri. Un progetto audace è ambizioso che nei secoli successivi condurrà,
come vedremo, a lunghe lotte tra Papato è Impero, ma che al momento non fu
contestato. Basti pensare che il papa che l’aveva incoronato da laico era un
diciottenne di nome Ottaviano sporco che venne ordinato prete lì per lì per
poter diventare Papa
Lui
stesso dovette scendere a Roma per ben quattro volte per garantirsi un papa
fedele. Giovanni che l’aveva incoronato si era pentito e brigava con Berengario
d’Ivrea che s’era preso il titolo di re d’Italia senza dipendere
dall’Imperatore. Lo depose sostituendolo con Leone VIII. Ma i romani reintegrarono
Giovanni e quando questi venne a morire, ucciso dal marito di una sua amante,
chiamarono a succedergli Benedetto V. Ottone ridiscese e dovette espugnare Roma
per rimettere Leone, che però morì, non è chiaro come.
Alla
morte , nel 976, gli successe il figlio Ottone II appena diciottenne. Si dedicò
soprattutto ad ampliare i domini
imperiali nell'Italia del sud e per questo cercò l'alleanza dell'Impero
d'Oriente, sposando anche la principessa bizantina Teofane, Venne però
duramente sconfitto dagli arabi in Calabria. Approfittando poi della sua
lontananza, molti feudatari tedeschi e italiani si ribellarono alla sua
autorità.
A succedergli nel 983, fu
incoronato il figlio Ottone III che però aveva solo 3 anni. Il governo effettivo
fu quindi assunto dalla madre Teofane e da un suo consigliere, il monaco
Gerberto d'Aurillac considerato l'uomo più colto del tempo. I due educarono il
piccolo nell'amore della cultura antica e nel
desiderio di rinnovare i fasti dell'Impero Romano.
Così,
una volta assunto effettivamente il potere, Ottone III, nel 999 trasferì la
sede imperiale a Roma e fece eleggere papa il suo istitutore Gerberto che prese
il nome di Silvestro II. Finalmente un Papa serio, dopo un marasma di papi e
antipapi nominati dall’imperatore e dalle famiglie romane, che avevano dato
seguito in peggio alla pantomima che s’è visto con Ottone I.
Ma il sogno dei due ebbe breve durata. Già nel
1001 per la ribellione dei feudatari tedeschi e l'ostilità degli aristocratici
romani furono costretti a fuggire da
Roma.
Ottone
III morì l'anno successivo a soli 22 anni e Gerberto lo seguì nella tomba
l'anno dopo.
Il
papato tornò nelle mani delle famiglie romane che se lo disputarono con qualche
ingerenza imperiale a suon di papi ed antipapi che non hanno lasciato grandi
tracce. Il principio per il quale doveva essere eletto dal sinodo dei vescovi
romani, restò appunto, poco meno che un principio
Seguendo
le vicende imperiali ci imbattiamo in Enrico II il Santo (1014-1024), cugino e
successore di Ottone III, alle prese con i due soliti problemi: feudatari
ribelli e papi antagonisti.
A
proposito di feudatari troppo indipendenti, proprio in Italia dovette vedersela con
Arduino d'Ivrea che alcuni feudatari della penisola avevano proclamato re. Ebbe
la meglio su di lui. Ma non riuscì nel
proposito di conquistare l'Italia meridionale che era finita nella mani dei
Normanni. Si meritò invece l’elevazione agli onori degli altari convocando
assieme al Papa il concilio di Pavia (1022), contro il concubinato degli
ecclesiastici.
Il
successore Corrado II di Franconia (1024-1039) si preoccupò di rinsaldare
l’impero, consolidando il rapporto tra Italia e Germania e quindi i collegamenti tra le due realtà.
In
questa ottica rafforzò la marca di Carinzia includendovi Trento. Rafforzò il
Patriarcato di Aquileia concedendo al
patriarca di allargarsi sui territori tra il Livenza e il Piave. ma soprattutto
ne rafforzò il ruolo in autonomia rispetto a Gorizia.
Il
Friuli diventava così un esempio lampante della politica degli imperatori di
privilegiare l’investitura dei feudi a uomini di chiesa, per evitare di dover
subire le conseguenze del principio dell’ereditarietà.
Nel
1027 l’imperatore Corrado II aveva stabilito con il patriarca Popone che i
territori del Patriarcato non dovevano dipendere più civilmente in alcuna
maniera dal Conte di Gorizia. Il patriarca diventava così feudatario di primo grado dipendente solamente dall’imperatore.
Per
comprendere il formarsi dello Stato Patriarchino, come di tutti i feudi nel
Medioevo è necessario partire dall’idea che lo Stato è patrimonio personale
dell’Imperatore. Proprietà privata quindi! Anche oggi la proprietà privata si
può cedere in vari modi ed a vari livello: nuda proprietà, diritto di superficie,
usufrutto ecc. Allo stesso modo allora, l’imperatore cedeva le sue proprietà ai
feudatari a al vescovo-conte, come nel nostro caso.
All’inizio,
nel caso del Friuli, ci furono cessioni di proprietà su piccoli territori a
fermare una specie di arcipelago di tante isole. Poi le isole cedute si
salderanno tra loro in un territorio unitario, all’interno del quale c’è un
arcipelago di tante isole cedute al conte di Gorizia o ad altri, marchesi,
principi e conti. In un primo momento l’Imperatore trasmette solo la proprietà,
poi viene concessa l’esenzione dal fisco statale e infine l’immunità cioè la
delega di poteri sovrani.
Enrico
II poi, concedette a Poppone, sui terreni assegnati da lui e dai predecessori,
il diritto di placito (cioè il potere giudiziario), il diritto di riscuotere
fodro (imposte in merce) e angarìe (imposte in denaro) e infine il diritto di
battere moneta.
Tornando
all’Europa, Corrado II non era riuscito ad imporsi generalizzando la politica di infeudare i vescovi. I grandi
feudatari continuavano a minacciare l’integrità dell’impero e a mettere in
discussione il potere dell’imperatore.
Allora,
per difendersi dall'invadenza dei grandi proprietari, non trovò di meglio che appoggiarsi ai piccoli
feudatari e nel 1037 emanò la Constitutio De Feudis , con la quale concedeva
l'ereditarietà anche dei feudi minori.
Peggio
il “tacòn del buso” si direbbe a Trieste. Invece di ottenere i risultati sperati, la Constitutio diventerà la premessa della
definitiva disgregazione del sistema feudale che, venuti meno i rapporti gerarchici
di vassallaggio, finirà in una lotta
continua di tutti contro tutti.
Non
andava meglio al Papato!
Tra
simonia e concubinato l’istituzione era degenerata oltre ogni limite di
decenza. Al punto che è lo stesso imperatore a sentire il dovere di intervenire per mettere ordine. Così Enrico III con il Privilegio di Sutri (1046)
ribadirà il diritto di designazione del Pontefice da parte dell’Imperatore. Meglio
un Papa designato da una figura esterna come l’imperatore che disputato in una continua rissa tra le famiglie
romane.
Ma l’intervento, anche se mosso da buoni
propositi, stabiliva un’inaccettabile superiorità dell’Impero sul Papato.
L’urgenza
d’una azione di riforma alla fine venne avvertita anche all'interno della
Chiesa. Dal monastero di Cluny in Francia partì un movimento riformatore per richiamare i Benedettini al rispetto della
regola dell’ ora et labora, che darà luogo alla fioritura di ordini
religiosi riformati, come i certosini, i
cistercensi e i Camaldolesi.
Salendo
dal basso, alla fine il movimento riformatore raggiungerà anche il papato. Leone IX
(1049–1054) si proporrà appunto
di rinnovare la Chiesa dal suo interno. Per farlo si circondò di consiglieri di
grande statura culturale e morale come
Pier Damiani e Ildebrando di Soana.
Il suo successore Niccolò II portò la riforma a sciogliere il nodo della Chiesa
sottomessa al potere politico, rovesciando il principio alla base del problema.
Appena eletto convocò a Roma un concilio nel quale stabilì che nessun laico
aveva il diritto di conferire cariche ecclesiastiche.
Con
lo “Statutum de electione papae” del 1059 stabilì che la elezione del Papa è
riservata ai cardinali vescovi delle chiese suburbicarie e ai titolari delle
chiese di Roma.
Capita
spesso che il meglio sia nemico del bene, così anche in questo caso volendo
andar oltre nell’azione riformatrice
della chiesa, il Papa si scontrò con il patriarca di Costantinopoli che si
opponeva, in particolare, all’introduzione dell’obbligo di celibato per gli
ecclesiastici. Pur animato dai più buoni propositi realizzò così il disastro
dello scisma che ancora perdura tra la chiesa cattolica e quella ortodossa.
Dimenticandosi
del Vangelo del perdono, Papa e Patriarca si scomunicarono a vicenda nel 1054 si
formalizzerà la nascita delle due chiese.
A
succedergli è chiamato proprio il suo consigliere Ildebrando di Soana, con il
nome di Gregorio VII, e lo scontro con l'imperatore Enrico IV raggiunse l’apice.
Gregorio
infatti diede mano con grande energia ad una riforma radicale della Chiesa. Per
contrastare il tentativo dell’imperatore di ingerirsi nel controllo della
Chiesa, emanò il “Dictatus Papae”. Nel documento si portava l’argomento a
livello teologico: si decretava e definiva il primato romano e l’origine divina della Chiesa. Sottolineando la
necessità di separare potere temporale e potere spirituale, si rivendicava la
superiorità del secondo sul primo.
Enrico IV naturalmente si oppose e nella dieta di Worms chiamò
Gregorio “non più papà ma falso monaco”, Venne scomunicato. Della scomunica approfittarono i suoi feudatari per
ribellarsi. La scomunica infatti scioglieva il vincolo di subordinazione che
legava i sudditi all’imperatore.
Costretto per questo a fare buon viso a
cattivo gioco, dovette piegarsi a chiedere perdono. Scese a incontrare il Papa
nel castello di Canossa sull’Appennino reggiano, chiedendo la mediazione della
contesa Matilde. Il Papa non era molto convinto del suo pentimento e lo fece
attendere tre giorni fuori dal castello, in ginocchio nella neve, prima di
riceverlo. Alla fine il papa, che avrebbe dovuto diffidare dei consigli d’una
donna, ricordando la scena di Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre, invece si
lasciò convincere da Matilde, e tolse
la scomunica ad Enrico.
Come era facilmente prevedibile, Enrico,
salvata la corona, si organizzò per
prendersi la rivincita e vendicarsi dell’offesa ricevuta. Ma la situazione era
degenerata più di quanto potesse immaginare. Quando tentò di
rientrare in Germania per ristabilire il
suo potere, scoprì che i nobili locali che controllavano i valichi alpini, il
Duca di Carinzia e il Conte di Gorizia,
suoi feudatari, si erano schierati con la nobiltà tedesca. I ribelli gli avevano sbarrato i passi alpini,
impedendogli il rientro.
Solo il Patriarca d’Aquilieia Sigeardo che gli era rimasto sempre fedele e che già
in precedenza aveva ri-comunicato Enrico IV in Aquileia, anche senza il placet
del papa, gli andò incontro e lo scortò con le proprie truppe fino ai passi da
lui controllati, quello di Monte Croce e di Tarvisio.
Per la fedeltà dimostrata nel
garantirgli il passaggio per rientrare in Germania, Sigeardo ottenne
dall'imperatore, con la dieta di Pavia del 3 aprile 1077, l'investitura feudale
di Duca del Friuli col titolo di
principe“Princeps Italiae ed Imperii(dopo aver deposto il conte
Ludovico, che ricopriva tale carica fino a quel momento). In seguito, con la
dieta di Norimberga dell'11 giugno dello stesso anno, gli verranno assegnati
anche i titoli di Marchese d'Istria, Margravio
della Carniola,
Venne
così istituita ufficialmente la Patria del Friuli, che avrà un proprio esercito, vero stato temporale del Patriarca di
Aquileia non soggetto a nessun altra autorità civile, feudo diretto del Sacro Romano Impero germanico.
Intanto
Corrado, ripreso il controllo sui principi tedeschi che avevano approfittato
per ribellarsi, scese in forze a Roma e si fece incoronare imperatore dall'antipapa Clemente III, da lui nominato,
mentre Gregorio fuggiva a Salerno dove morirà nel 1085. A succedergli il
conclave chiamò Vittore III, ma c’era in campo anche Clemente III,
l’antipapa. Il problema fu risolto “naturalmente” dalla morte di entrambi.
Fu
eletto allora Urbano II ( 1088-1099) che
riuscirà a rilanciare il ruolo del papato, promuovendo un grande ideale di
grande respiro, perché non si guardasse più alla quotidianità di comportamenti
che avevano ben poco a vedere con il Vangelo. Proclamò, come vedremo, una
grande crociata invitando tutta la cristianità ad unirsi per recuperare il
Sepolcro del Gesù del Vangelo.
Sigeardo era
venuto a mancare improvvisamente pochi
mesi dopo l'investitura, il 12 agosto 1077. Il suo amico imperatore invece era
stato addirittura deposto dal figlio che aveva preso il suo posto con il nome
di Enrico V.
Costui,
s’era messo in testa di riprendere a bisticciare con il papa Pasquale II. Sceso a Roma per cingere
la corona, venne a patti per farsi incoronare. Ma i suoi dignitari lo
contestarono. La cerimonia fu sospesa e finì in un parapiglia, con il papa in
prigione per due mesi. Riconquistò la liberta in cambio dell’incoronazione, ma
ripartito l’imperatore fu accusato di aver “commesso un pravilegio non concesso
un privilegio”e dovette ritrattare. L’imperatore fu costretto a ridiscendere
con un grosso esercito per chiarire con la forza i termini della questione.
Perché tutto fosse ancor più chiaro, impose un antipapa con il nome di Gregorio
VIII. Callisto II successore di Pasquale, convinse allora l’imperatore a
mettere in campo il buonsenso invece delle armi. Enrico capì che non valeva la
pensa continuare nel braccio di ferro. Si giunse così, nel 1122, allo storico
concordato di Worms con il quale si metteva la parola fine alla lotta per le
investiture.
Si concordò che nessun laico poteva
nominare i vescovi, ma che comunque l’imperatore poteva assegnare loro compiti
politici. Si formalizzò per i vescovi-conte il compromesso della doppia investitura,
spirituale e temporale, in Germania la temporale procedeva la spirituale, in
Italia viceversa. Come è normale per un compromesso, la questione non fu
risolta definitivamente, ma quantomeno si pose fine al tentativo dell’impero di
imporre il suo potere sulla chiesa.
Negli stessi tempi nei territori dell’attuale Francia, dalla
notte dell'anarchia feudale stava emergendo gradualmente l'autorità dei conti di Parigi,
finché nel 987 uno di questi,Ugo Capeto venne incoronato re di Francia.
Iniziava così una dinastia, quella dei Capetingi, che tra alterne vicende
sarebbe rimasta sul trono francese fino al XIX secolo.
Nel
frattempo le cose cambiavano anche sulle rive dell'Atlantico, dove, come s’è
visto si erano insediati i Normanni. Nel 911 un loro capo Rollone giurò fedeltà al re dei Franchi Carlo il semplice, in cambio ottenne il titolo
di duca e alcune terre nel nord ovest del paese che successivamente costituiranno
il ducato di Normandia.
Così,
come gli Ungari, anche i terribili Vichinghi, di cui s’è detto, si
stabilizzarono, ricevettero il battesimo e cominciarono a integrarsi nel
sistema feudale. Infine nel 1066 un duca
di Normandia Guglielmo, detto poi il Conquistatore, attraversò il canale della
Manica e sconfisse il re degli Angli e dei Sassoni Aroldo II, nella battaglia
di Hastings. Divenne così il primo re
d'Inghilterra.
Cominciavano in questo modo a prendere forma
due regni che sarebbero stati protagonisti della storia europea nei secoli a
venire
Tra
le scorrerie dei nuovi invasori e le continue lotte tra i feudatari, la vita in
Europa occidentale era diventata sempre più insicura. La necessità di proteggersi,
tra il IX e il X secolo favorì il sorgere nuove strutture difensive. Si
chiameranno castelli e con il tempo
diventeranno un elemento caratteristico del paesaggio del continente, e quindi
anche del Friuli, come s’è visto, a protezione delle strade per i passi alpini.
. Sembra che nella sola regione Toscana ne siano stati costruiti quasi mille, lo stesso accadde in
Spagna dove un'intera regione costellata di castelli venne per questo chiamata
Castiglia.
All'inizio
queste costruzioni avevano un aspetto tutt'altro che imponente. I primi
castelli erano semplici torri quadrate costruite in terra battuta e legno alte
pochi metri e circondate da un fossato. Quasi sempre erano costruite in cima a
un altura da dove era possibile tenere sott'occhio il territorio circostante.
La decisione di erigere un castello veniva
presa da un signore ma alla sua costruzione partecipavano solitamente tutti gli
abitanti delle campagne circostanti. Perché essi erano tenuti dalla condizione
di servi a prestare al Signore un certo numero di giornate di lavoro, dette
corvées, ma anche perché in caso di attacco il castello
era un rifugio per tutti.
Abbastanza
rapidamente i castelli divennero anche un centro della vita economica. Qui
infatti i contadini presero a portare al
sicuro il loro raccolti, qui cominciarono a insediarsi alcuni artigiani, da qui
si poteva organizzare un migliore sfruttamento delle terre circostanti. Con le
ricchezze che cominciano ad affluire fu possibile ampliare le costruzioni
originarie, soprattutto con la realizzazione di una o più cinte di mura e torri di pietra dalle
quali era facile bersagliare i nemici. Così
i castelli si fecero sempre più grandi e robusti, divennero pressoché inespugnabili
e diventarono un vero e proprio simbolo del potere del
Signore che li abitava. Infatti ogni proprietario voleva che il suo castello fosse,
anche al di là delle strette necessità
militari o economiche, sempre più grande e più bello, un vero status symbol.
I
castelli avevano una struttura identica la parte più interna si chiamava
mastio. Era il nucleo originario del
castello, la residenza del signore. A partire dal mastio, nel corso del tempo e
dei secoli, il castello prese a espandersi con la costruzione di altre cerchie
di mura. Per questo il castello finì per avere una struttura articolata e venne
ad affiancare alla sua funzione originaria di difesa anche quella di
rappresentante della grandezza del potere politico del signore.
Anche
il paesaggio del Friuli prese a essere costellato di queste nuove costruzioni, collocate sulle
alture. Corrado II aveva rafforzato il Patriarcato perché sentiva l'esigenza di
mantenere un efficiente collegamento
l'Italia e la Germania. In questa prospettiva riacquistarono importanza i passi
alpini e quindi ha ripreso un ruolo la via Julia Augusta verso Monte Croce
Carnico. Di conseguenza venne riattivato
e rafforzato il sistema di difesa. L’insieme dei castelli che aveva preso a risorgere
subito dopo la devastazione degli Ungari, si consolidò anche in Carnia, a
partire da quello di Tolmezzo, residenza del gastaldo, il rappresentante del
Patriarca per la Carnia.
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